L’emozione del primo giorno di scuola
Anche quest’anno, come ogni anno, migliaia di persone, fra studenti, genitori e insegnanti «vivranno momenti magici, quando ricominceranno le lezioni in tutta Italia…: nuclei di umanità che entreranno in rapporto, mondi interiori pronti a travasare gli uni negli altri, sensibilità a confronto, caratteri in formazione e maturità da conquistare» – scriveva lo studioso Eraldo Affinati qualche tempo fa sulle pagine di Repubblica.
Qualche giorno fa rovistando tra una pila di scartafacci mi è capitato tra le mani un mio articolo di qualche anno fa nel quale facevo delle riflessioni sull’avvio dell’anno scolastico. Era una riflessione generale, più intima che pubblica, per quelli come me che hanno avuto a che fare con la scuola sotto varie vesti. Da alunno, da genitore, sindacalista e ora da nonno.
Quando ho iniziato a frequentare la scuola pubblica alla fine degli anni Cinquanta tra le poche certezze, oltre al fatto che il Natale arrivava sempre il 25 dicembre, c’era il 1° ottobre: il primo giorno di scuola, l’inizio del nuovo anno scolastico.
All’epoca questa era una data importante, rappresentava per noi la fine della lunga estate, della libertà, dei giochi con gli amici, l’inizio dell’inverno. Oggi, con l’autonomia, l’inizio delle lezioni viene deciso dalle singole regioni o dalle scuole.
È cambiato tutto. Una cosa però non è cambiata: è l’emozione che accompagna il primo giorno di scuola.
La stessa emozione che ho vissuto tanti anni fa in prima persona l’ho rivissuta successivamente, molti anni dopo, quando ho accompagnato mio figlio per il suo primo giorno di scuola. Un’emozione diversa ma, comunque, forte, la durezza del distacco, la presa di coscienza del tempo che passa, della vita che avanza.
Un’altra forte emozione l’ho vissuta il mio primo giorno da insegnante di ruolo, in quel di Bergamo, tanti anni fa, in una città per me sconosciuta che ho imparato ad amare ed alla quale sono rimasto molto legato.
Anche quest’anno, come ogni anno, migliaia di persone, fra studenti, genitori e insegnanti «vivranno momenti magici, quando ricominceranno le lezioni in tutta Italia…: nuclei di umanità che entreranno in rapporto, mondi interiori pronti a travasare gli uni negli altri, sensibilità a confronto, caratteri in formazione e maturità da conquistare» – scriveva lo studioso Eraldo Affinati qualche tempo fa sulle pagine di Repubblica.
«Una missione formidabile – sosteneva – tale da far tremare le vene e i polsi: da una parte modellare le coscienze in crescita, formare lo spirito critico, accendere le passioni, sanare le piaghe, asciugare le lacrime; dall’altra un compito da assolvere che da solo vale quanto una medaglia olimpica: diventare adulti».
La mia mente, ripensando ai miei primi giorni di scuola, come alunno, padre, insegnante, e oggi da nonno, va a tutti i docenti che in questi giorni hanno preso servizio non più come supplenti ma come docenti – a tempo indeterminato – raggiungendo l’agognato ruolo per cui si sono impegnati tutta una vita.
Ma in questi giorni un pensiero particolare non può non andare a tutti quei ragazzi che, non per colpa loro, non hanno più la fortuna di provare queste emozioni perché la vita li ha portati a crescere troppo in fretta e ad imitare la ‘vita sbagliata’ degli adulti. Oltre alle regole di vita sociale, credo che un ruolo fondamentale in questi casi lo debba giocare la scuola. Se questi ragazzi invece dell’‘emozione’ che provano nell’estrarre un’arma potessero provare quella di un primo giorno di scuola saremmo dentro la realtà dell’istruzione che tutti vogliamo e per la quale lavoriamo.