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L’isolamento sociale volontario – Parte 2: il punto di vista di un insegnante

Cosa può fare la scuola per arginare il fenomeno dell’isolamento sociale volontario? Ne parliamo con Adriano Di Gregorio, insegnante, scrittore e ideatore di un canale YouTube dedicato alla didattica

L’isolamento sociale volontario – Parte 2: il punto di vista di un insegnante
  • 2 Febbraio 2023
  • Cosa può fare la scuola per arginare il fenomeno dell’isolamento sociale volontario? Ne parliamo con Adriano Di Gregorio, insegnante, scrittore e ideatore di un canale YouTube dedicato alla didattica

    Lo vivono con sofferenza e il loro isolamento spesso, parte proprio da lì. È l’ambiente scolastico uno dei principali luoghi di sofferenza per gli Hikikomori, i ragazzi in disparte, giovani dai 14 ai 25 anni (per lo più) che hanno scelto di scappare fisicamente dalla vita sociale, spesso ricorrendo a livelli estremi di confinamento.
    Che si tratti di Hikikomori o semplicemente di isolamento sociale, è lecito interrogarsi su quale sia il ruolo dell’istruzione nell’ambito di questo disturbo.

    ISOLAMENTO SOCIALE VOLONTARIO: INTERVISTA AL PROF. ADRIANO DI GREGORIO

    Professore, secondo le statistiche i giovani tendono sempre più ad isolarsi e il fenomeno degli Hikikomori è in aumento anche nel nostro paese. Anche lei registra una crescita di queste problematiche tra gli studenti?

    Sì, il fenomeno è in aumento, soprattutto tra gli adolescenti, e la scuola, come importantissimo ente educativo, dovrebbe cominciare a porsi il problema. All’inizio i “sintomi” sono piuttosto lievi: gli adolescenti sbuffano quando sono costretti ad uscire di casa, ma alcuni di loro – per fortuna ancora non molti – poco tempo dopo avvertono una vera e propria ansia o addirittura fobia se si trovano a contatto con altre persone. Ovviamente non sono uno specialista, ma credo che le cause siano da ricercare nell’estrema fragilità dei nostri ragazzi che a sua volta affonda le radici nella dissoluzione della famiglia. Per tanti motivi, che non possiamo affrontare in questa sede, molto spesso i ragazzi sono costretti a trascorrere la maggior parte della loro giornata da soli e quindi cercano “rifugio” nell’unico luogo dove si sentono a loro agio, il web.

     La pandemia di Covid-19 in corso ha visto un aumento del fenomeno sociale in Italia? E che ripercussioni ha avuto su chi già viveva questa condizione?

    Come ho detto prima, non sono uno specialista e non conosco le statistiche ma credo che l’isolamento sociale dovuto al lockdown abbia acuito un problema già in parte esistente.

    Adriano Di Gregorio, insegnante di ruolo di Italiano e Storia, scrittore di gialli di successo e ideatore di un canale YouTube da milioni di visualizzazioni totali.

    La didattica a distanza ha inficiato sui giovani che vivono questa condizione?

    Alcuni ragazzi hanno vissuto in maniera negativa il distanziamento sociale e la conseguente didattica a distanza ma altri si sono trovati a loro agio, vivendo all’interno del loro “nido” fatto da cellulare, pc, tastiere e monitor.

    Cosa può fare la scuola secondo lei per arginare il fenomeno?

    La scuola dovrebbe partire proprio da questi soggetti più fragili e tendenzialmente più a rischio, per cercare di intervenire prima che il loro comportamento possa diventare patologico. Capisco che non è semplice ma creando e mantenendo per tutto il corso dell’anno un rapporto stretto con le famiglie, si possono raggiungere importanti risultati. Scuola e famiglia non devono sottovalutare i primi sintomi e devono intervenire subito, segnalando lo studente agli psicologi. Inoltre, la famiglia e la scuola non dovrebbero cercare l’alibi dei videogiochi, della playstation e di tante altre cose: i problemi non sono provocati dalla tecnologia, che invece deve essere intesa come un sostituto di qualcosa che di solito manca all’interno dell’ambiente familiare. Se un ragazzo trascorre dieci ore al giorno davanti al computer, vuol dire che è l’unico luogo in cui si sente sicuro, perché non ha altre certezze o altre fonti di affetto. Non cerchiamo alibi e non temiamo di guardare dentro di noi per aiutare i nostri figli.

    Le è mai capitato di avere a che fare con un alunno affetto da questo disturbo?

    Ho avuto parecchi studenti che hanno mostrato i primi sintomi di un comportamento che col tempo, se non corretto, può diventare patologico. Come dicevo prima, durante il lockdown, parecchi studenti hanno vissuto il rientro a scuola in maniera fortemente negativa e si sono chiusi in se stessi, evitando il rapporto con gli altri compagni.

    Invece ho conosciuto un ragazzo, non un mio studente, che mostra tutti i sintomi da Hikikomori. Purtroppo, la famiglia, pensando che fosse soltanto un lato del suo carattere, lo ha assecondato. La verità è un’altra ma la famiglia non ha mai avuto la forza di affrontarla. In questi difficili casi le famiglie devono essere aiutate perché è molto complicato accettare, seguire e modificare da soli i comportamenti dei loro figli.

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