Prevenire, intervenire, trasformare: le azioni chiave per affrontare la violenza a scuola
Gli episodi di violenza ai danni del personale rappresentano un fenomeno che ha perso i connotati della casualità. Le misure di contrasto devono avere organicità e durata nel tempo. Qual è l’approccio di un dirigente?
Quando un adolescente ha atteggiamenti aggressivi o di bullismo, è in atto un fallimento: è questo il punto da cui partire. Attribuirlo a qualcosa o qualcuno ha poca importanza. La riflessione sul come o sul perché è utile se accompagnata da interventi che consentano di superare il disagio, la contrapposizione, la frattura in atto. Misure che devono coinvolgere tutti, dalla famiglia, alla società, alla scuola.
Quando si verificano casi di questo tipo, a scuola, scattano immediatamente procedure che coinvolgono, in primis, il dirigente scolastico, poi il consiglio di classe, insieme ai genitori: si approfondisce, si cerca di comprendere la dinamica dell’accaduto, fino a adottare provvedimenti, anche sanzionatori.
Un iter che, pur sottolineando il limite superato, non dà garanzia della soluzione del problema. Spesso da parte dell’alunno c’è la voglia di mettersi in mostra, attirare l’attenzione, di essere protagonista, almeno per un giorno. A volte invece c’è solo l’incapacità di non comprendere a cosa si va incontro: a quali punizioni o conseguenze.
Tra le tante connotazioni che va assumendo la violenza a scuola, tutte inquietanti e tutte che necessitano interventi anche da parte del dirigente scolastico in chiave pedagogica, risalta, oggi particolarmente, quella contro il personale, sia da parte dei genitori degli studenti, che da parte degli stessi studenti.
Quelli maggiormente colpiti sono i docenti. La loro è una posizione particolarmente delicata e di vulnerabilità: da un lato si trovano completamente immersi nelle problematiche familiari ed emotive dei propri alunni, senza poter disporre di alcun supporto, dall’altro sono sempre loro il bersaglio diretto delle reazioni dei genitori.
Gli episodi di violenza che più sconcertano sono quelli verbali e fisici degli studenti verso il docente che viene dileggiato o aggredito fisicamente con atto di bullismo o di vandalismo, con l’aggravante della ripresa e la diffusione sui social.
Molto si è discusso e polemizzato sul comportamento della scuola, troppo rigida o troppo blanda nei confronti degli allievi insolenti. Molti i giudizi ‘pro’ e altrettanti ‘contro’, di chi giudica i provvedimenti dei docenti e del capo d’istituto tendente più a ridimensionare episodi gravissimi, con l’auspicio di “ristabilire l’armonia come se nulla fosse accaduto”.
Non si tratta di offesa alla singola persona ma all’istituzione scuola, alla seconda agenzia educativa che, con fatica e senza riconoscimento alcuno, istruisce e educa le nuove generazioni.
La normativa impone di intervenire con gli strumenti disciplinari a disposizione, a tutela della dignità professionale del docente offeso e umiliato da parte o da un’intera classe. Scatta l’obbligo di denunciare senza esitazioni all’Autorità Giudiziaria l’aggressione fisica inflitta, quando accade in ambiente scolastico.
Spesso si sceglie, invece, la soluzione in chiave pedagogica, condivisibile, ma ad una condizione: che non si venga lasciati soli ad affrontare una simile complessità.
Bisogna innanzitutto creare un rapporto di reciproca fiducia fra giovani e adulti. Puntare sulla qualità della relazione umana, a viso aperto e con coerenza, dichiarando in modo trasparente le regole del gioco, da subito. Non mettersi nella posizione del giudice, bensì di guida. Senza autoritarismo ma con autorevolezza. Da una parte stare accanto condividendo esperienze ed emozioni, dall’altra segnare il passo affinché non superino gli steccati e possano accettare le regole della convivenza civile.
Conta piuttosto ciò che succede prima: non solo a scuola, anche in famiglia, nella comunità degli amici e soprattutto sui social. Dovremmo intanto cominciare ad approfondire ciò che succede nella vita parallela che ha modificato le abitudini dei ragazzi, anche di quelli taciturni, che in apparenza non hanno problemi e spesso passano inosservati mentre, invece, vivono un falso rapporto con la realtà.
Una situazione complessa che non si può sanare con un semplice provvedimento amministrativo.
La soluzione in chiave pedagogica impone la costruzione di ambienti di apprendimento più ampi, che siano inclusivi e relazionali, a partire dall’insegnante in classe; per esempio, con approcci curriculari in cui gli studenti apprendano le competenze relazionali, emotive, incorporando pratiche improntate alla collaborazione e alla risoluzione dei conflitti, con un tempo scolastico più lungo, fatto per tempo, già dalla scuola dell’infanzia. Ma neppure questo basta.
Le forme di violenza che accadono in strada, nei luoghi di divertimento – che entrano a scuola – sono il risultato di trasformazioni sociali di ampia portata, di rappresentazioni troppo spesso distorte e divulgate a velocità impressionanti, soprattutto tramite la rete e i social media.
In questo quadro liquido, complesso e rapidissimo, i dirigenti hanno la necessità di promuovere e sperimentare tutte le possibili strategie e metodologie di prevenzione, intervento, trasformazione.
Una azione non repressiva ma educativa e didattica, che richiama con forza il valore di un lavoro non solo intra-istituzionale, ma inter-istituzionale: patti educativi ampi e funzionali, che coinvolgano tutto il personale della scuola, genitori, sociologi, psicologi, per arrivare anche a figure inedite come i professionisti dello spettacolo, attori, registi, che aiutino a scoprire una diversa ottica di intervento.
L’obiettivo è di uscire da un percorso di vita che non porta alla serena realizzazione di sé, seguendo il filo conduttore della cooperazione tra dirigenti-docenti, scuola-territorio, scuola-famiglie, scuola-equipe professionali di supporto.