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Quando dimensionamento si traduce con ridimensionamento

Come per la volontà di regionalizzazione del sistema scolastico si è voluto imbellettare il tutto con la definizione più anodina di ‘autonomia differenziata’, così anche la parola dimensionamento in realtà nasconde un ‘ridimensionamento’ vero e proprio della scuola pubblica statale italiana.

Quando dimensionamento si traduce con ridimensionamento
  • 18 Luglio 2023
  • Siamo alle solite. Si torna a giocare con la lingua italiana e a chiamare le cose con nomi accattivanti che, ad una lettura superficiale, denotano un’accezione positiva.

    Come per la volontà di regionalizzazione del sistema scolastico si è voluto imbellettare il tutto con la definizione più anodina di ‘autonomia differenziata’, così anche la parola dimensionamento in realtà nasconde un ‘ridimensionamento’ vero e proprio della scuola pubblica statale italiana.

    Quasi che dimensionamento fosse un termine di una sconosciuta lingua preindoeuropea.
    Immaginando di poterla tradurre in italiano, corrisponderebbe a ‘taglio di organici’.

    Parliamo di riduzione di sedi, di riduzione di punti di erogazione del servizio, di tagli di posti di lavoro.

    Di questo si tratta. Tutto il resto sono chiacchiere.

    Ma questo dei tagli è un vizio che viene da lontano e riguarda governi sia di sinistra e che di destra.
    Tutti i politici in campagna elettorale mettono sempre la scuola al centro dei loro programmi.
    Parlano della scuola come volano determinante per la crescita e lo sviluppo socioeconomico del Paese.
    Poi, soprattutto quando sono all’opposizione, si trasformano in ‘anime belle’ e in strenui difensori della scuola pubblica statale, contrastando con tutte le energie i tagli camuffati da riforme.

    Una volta al governo i ruoli si invertono.

    Il caso più clamoroso fu quello del ministro Gelmini che, nel 2008, con un tratto di penna cancellò oltre 125.000 posti di organico, 81.000 docenti e 44.500 ATA.
    Agì su input dell’allora ministro dell’economia Tremonti. L’operazione portò un’economia (leggi risparmi) di otto miliardi di euro che, invece di essere reinvestiti nella scuola, andarono ad implementare le casse dello stato. Questo vuol dire fare cassa con la scuola.

    Nello stesso periodo di forte crisi economica la Germania avviava un processo inverso: destinava nove miliardi di nuove risorse nella scuola. Faceva un investimento sul futuro delle giovani generazioni.

    Questo solo per fare un esempio.

    Oggi siamo in presenza di una norma contenuta nella Legge di Bilancio che prevede un forte ridimensionamento della rete scolastica che andrà, prima di tutto, a penalizzare i ragazzi e i territori ma che avrà come effetto estero quello di penalizzare tutto il personale scolastico.

    Per fare cassa, il governo ha previsto la chiusura di quasi 700 scuole in due anni, 697 per essere precisi.

    L’accorpamento non colpisce solo i Dirigenti scolastici e i DSGA ma anche i collaboratori scolastici.

    Saranno penalizzate soprattutto le scuole del Mezzogiorno. La Campania perderà 146 scuole su 985, la Sicilia 109 su 819, ma il taglio più pesante riguarderà la Calabria che perderà 79 scuole su 360.

    Il conto salato lo pagheranno anche i territori interni meno popolosi, quelli che, proprio perché più fragili, avrebbero bisogno di maggiore supporto.

    Siamo convinti che bisognerebbe agire in modo diverso. Per una seria politica scolastica si dovrebbe utilizzare l’opportunità che fornisce il calo demografico per poter reinvestire le risorse organiche liberate, oltre che per mantenere l’istituzione scuola sui territori periferici, per eliminare in modo progressivo le classi troppo affollate e per ridurre i divari territoriali. Sarebbe una rivoluzione copernicana.

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