Il docente, un salmone che risale la corrente
“Prendi la direzione opposta all’abitudine e quasi sempre farai bene” diceva Jean-Jacques Rousseau. Andare nella giusta direzione sembra essere oggi la nuova sfida per la scuola.
Ma qual è la “giusta direzione”? E come stabilire se quella intrapresa o da intraprendere è da considerare giusta o meno e soprattutto per chi?
“Prendi la direzione opposta all’abitudine e quasi sempre farai bene” diceva Jean-Jacques Rousseau. Andare nella giusta direzione sembra essere oggi la nuova sfida per la scuola.
Ma qual è la “giusta direzione”? E come stabilire se quella intrapresa o da intraprendere è da considerare giusta o meno e soprattutto per chi?
Allora, è possibile che un buon punto di partenza sia provare a decidere quanto meno qual è la direzione sbagliata, quella che la scuola dovrebbe assolutamente evitare per creare una solida base di condivisone da cui muoversi.
Nuccio Ordine, letterato e accademico italiano, professore ordinario di letteratura italiana presso l’Università della Calabria intervenuto al Congresso della Federazione Uil Scuola Rua a settembre a Roma, nella sua lectio magistralis dal titolo significativo ‘Le scuole non sono imprese’, ha parlato di una scuola che sembrerebbe aver perso la ragione, l’essenza della sua funzione, la sua direzione. Un deragliamento che non è certo una novità, perché, come dimostrato dal professore attraverso la lettura di diversi classici dell’800 e del ‘900 – in alcuni casi profezie che oggi sono diventate realtà – l’idea di una scuola aziendalista, mezzo per aspirare solo al profitto, che limita la creatività di chi la frequenta, che impone la filosofia dell’utile, in cui lo studente è un recipiente da riempire di fatti e un pollo di batteria in vista della sua futura immissione nel mercato del lavoro, viene appunto da lontano.
C’è un solo modo per invertire la rotta: spezzare queste abitudini in cui ci vogliono imprigionare ed essere ancora una volta quei salmoni che risalgono la corrente. Bisogna sciogliere questi fili di chi, per una ragione o per un’altra, pensa di avere un manichino se non un burattino nelle mani che muove con o senza il nostro consenso.
La nostra scuola è viva, pulsante, accoglie i nostri ragazzi, tutti i giorni, anche in quelli più bui come è stato il periodo della pandemia. È una scuola in cui il docente, anche quello precario, che vive a chilometri di distanza dai suoi affetti per colpa di politiche scellerate, di contenimento di spesa, di tagli agli organici, continua a credere fermamente che la scuola ha come primo obiettivo quello di formare cittadini colti, donne e uomini liberi capaci di pensare con un pensiero critico.
Il docente ogni giorno dedica tempo alle conoscenze, guarda negli occhi i suoi studenti, utilizza la sua ora di lezione come serbatoio della memoria per costruire ponti tra passato e presente perché sa che non si può considerare solo il futuro. Il docente oggi è l’unico che può ricreare quel rapporto con la memoria per non uccidere la possibilità di capire il presente per prevedere il futuro.
Solo il docente lo può fare. Solo la scuola lo può fare, anzi non ha mai smesso di farlo.
Allora facciamola conoscere di più questa scuola e difendiamola con i denti, perché è l’unico antidoto ai fatti, fatti, fatti che vorrebbero imporre ed è la sola che può rendere più umano il nostro tempo e unica l’esperienza del viaggio.