Docenti aggrediti, quando è la scuola tutta che deve intervenire
Penso valga la pena, dopo qualche tempo, tornare su un tema sul quale molto si è detto e si è scritto, forse anche sproposito. Mi riferisco alla brutta vicenda che ha coinvolto la docente di Rovigo.
Un evento che mi ha molto colpito come insegnante ma soprattutto come genitore.
Passato il rumore della cronaca quella che ho visto è la solitudine dell’insegnate che, più che come docente, è stata colpita come persona. Se poi a difesa di alunni indifendibili scende in campo anche Luciana Littizzetto nella sua doppia veste di ex docente e di donna dello spettacolo la frittata è fatta.
Tiriamola fuori la parola che serve: RISPETTO
Le aggressioni agli insegnanti sono in aumento, non solo da parte degli alunni ma sempre più spesso da parte dei genitori. È inutile girarci intorno o far finta di non capire. Questo oggi è un problema della scuola con cui bisogna fare i conti. La scuola svolge un ruolo importante ma se viene meno il supporto fondamentale della famiglia è tutto inutile.
Pensare che i ragazzi di Rovigo abbiano sparato pallini contro la professoressa mentre riprendevano la scena col telefonino e attribuire questa responsabilità – non ai ragazzi ‘male educati’, o meglio ‘non educati’ dalle loro famiglie- ma alla mancanza di empatia da parte dell’insegnante è assurdo.
Questo vuol dire giustificare i ragazzi ed incoraggiarli verso comportamenti di tale fatta
Tanto qualcuno a cui attribuire responsabilità si trova sempre. Ci penserà la Littizzetto di turno.
Perché se i ragazzi sono ingiustificabili, quelli da bocciare dovrebbero essere i genitori.
Per quanto riguarda la professoressa non dovrebbe essere lei a difendersi ma la scuola come comunità educante, a partire dal dirigente scolastico. Questi sono momenti in cui gli insegnanti non devono essere lasciati soli ma è la scuola tutta che deve intervenire.
Meglio essere empatici che non esserlo.
Empatia, si legge nel dizionario enciclopedico Treccani è «la capacità di porsi nella situazione di un’altra persona o, più esattamente, di comprendere immediatamente i processi psichici dell’altro».
Detto questo ci possono essere persone empatiche o meno tra i medici, i baristi, i commessi, i parrucchieri e via discorrendo. Una cosa bisogna avere chiara: l’empatia non è prevista nei programmi d’esame per diventare docente, né tantomeno è acquistabile all’ingrosso, altrimenti il problema sarebbe di facile soluzione.
Quando ero studente, qualche decennio fa, il giorno del ricevimento dei genitori ero terrorizzato: dall’esito di quei colloqui dipendeva il comportamento di mio padre, che mai mi ha mai sfiorato nemmeno con un dito, e di mia madre, che si incaricava di ‘fare giustizia’.
Nella nostra scuola si usava far firmare i compiti in classe corretti e valutati ai genitori. Io portavo solo quelli con i bei voti gli altri li firmavo io. Avevo imparato alla perfezione a riprodurre la firma di mia madre.
Poi arrivava il giorno fatale degli incontri scuola-famiglia ed erano dolori.
Ho attraversato anche la fase da genitore: due figli al liceo e i problemi non sono mancati.
Ma, anche quando capivo che le loro ragioni erano da sostenere, non ho mai dato loro ragione.
Poi magari andavo a parlare civilmente con gli insegnanti per cercare di capire e tutto si appianava e risolveva nel migliore dei modi. Oggi i miei ragazzi sono adulti, laureati e con lavori di responsabilità.
A rifare tutto, visti i risultati, mi comporterei allo stesso modo.
In questa vicenda entra a pieno titolo anche il telefonino.
Dall’attuale ministro mi separano molte, molte, cose ma sul telefonino in classe la penso come lui.
È vero che il telefono può essere usato per la didattica ma il suo utilizzo va previsto all’interno della programmazione. In caso contrario non va usato. Lasciarlo all’uso arbitrario porta all’episodio degli alunni di Rovigo: non propriamente didattico.
Mi ha molto colpito la velocità con cui la professoressa è passata da persona danneggiata ad imputata.
Penso a tutti quegli insegnanti che ogni giorno sono a scuola e, in alcuni casi, hanno a che fare con classi vivaci, e magari non sono provvisti di empatia.
Serve responsabilità da parte di tutti, di tutta la comunità educante, ma soprattutto delle famiglie.
Fondamentale credo sia recuperare il ruolo e la considerazione del personale docente: è il punto essenziale da cui partire il resto va costruito di conseguenza.