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Da diritto universale a francobollo territoriale

L’OPINIONE

Da diritto universale a francobollo territoriale
  • 11 Aprile 2023
  • Se dovesse arrivare fino in fondo al percorso legislativo, il Disegno di legge Calderoli, sull’autonomia differenziata, potrebbe spaccherà il Paese.

    Penso anche che, per quanto riguarda la scuola, si possa configurare come un attacco al diritto all’istruzione, diritto universale della persona, che deve essere garantito in modo uguale su tutto il territorio nazionale. L’ipotesi, che intendiamo smontare, di una scuola a dimensione regionale andrebbe ad allargare ulteriormente il solco delle disparità che, come dimostra l’ultimo rapporto Svimez (ascolta la nostra intervista al Direttore Luca Bianchi), esiste già tra scuole del Centro-Nord e scuole del Sud.

    Questo atto potrebbe essere il primo passo verso la destrutturazione del nostro Paese rispetto all’attuale assetto politico. Certi processi quando partono non si sa mai dove vanno a parare e – quando se ne ha consapevolezza – di solito è già troppo tardi per rimediare.

    Su questo versante bisogna tenere bene a mente i danni che il Paese ha subito con la modifica del Titolo V della Costituzione. In una situazione di crisi imprevedibile come quella che si è venuta a determinare con la pandemia, per non far deragliare il Paese, il governo è stato costretto a ‘ricentralizzare’ le competenze della Sanità.

    Un momento estremo legato a scelte che dovrebbero servire da monito per decisioni future. Invece no. Si va avanti con protervia solo per rispondere a parti della politica, in crisi di identità e di voti, alla quale si consente di poter esibire una bandiera da far garrire al vento.

    Per silenziare quanti non condividono questa scelta, ci propinano i LEP (livelli essenziali di prestazione) come se fossero la panacea di tutti i possibili mali futuri.

    In Italia, come rilevato dai ricercatori Svimez, prima di parlare di LEP, andrebbero colmate le attuali differenze territoriali, recuperati i divari e, dare garanzie di una ‘partenza alla pari’, altrimenti la gara risulterà truccata.
    Per far questo servono risorse. Ingenti risorse.

    Il rapporto certifica che in Italia esistono divari da colmare, ad esempio,  per la diffusione del tempo pieno, per mense e palestre.

    Il risultato concreto di quanto affermato dai ricercatori è che un bambino che vive nel Mezzogiorno “frequenta la scuola primaria per una media annua di 200 ore in meno” rispetto al coetaneo del centro/nord. Alla fine del percorso di studi avrà un anno di scolarizzazione in meno. Non è poco.

    Altra urgenza che evidenziano i ricercatori è quella di rafforzare il sistema istruzione nelle aree più marginali. E qui entra in ballo un altro tema cruciale sul quale occorre intervenire: il dimensionamento delle scuole. Ma questo sarà oggetto di una riflessione specifica.

    Per farci apparire questa operazione più ‘potabile’, ci raccontano che nel mondo ci sono Paesi importanti che sono organizzati su base regionale, quindi dov’è il problema? Ma non dicono tutta la verità.

    Prendiamo ad esempio la Germania. Il processo di unificazione tedesca, che portò alla costituzione dello stato tedesco nel 1871, si completa nell’attuale configurazione politica il 3 ottobre del 1990, dopo la caduta del muro di Berlino, quando la Germania Est si riunì a quella dell’Ovest.

    L’unificazione finale ha avuto bisogno di forti investimenti per avvicinare i tedeschi dell’est al tenore di vita dei concittadini dell’ovest. Le scelte, soprattutto quelle epocali, hanno dei costi. La Germania ha sempre operato scelte espansive per il settore dell’educazione, anche in momenti di congiuntura economica di crisi internazionale. Non solo la scuola tedesca paga oggi il peso di alcune scelte prese in passato (diversamente dall’Italia dove si è scelta la via dell’inclusione) con le scuole speciali e con un livello altissimo di studenti legati alle migrazioni di guerra (Siria e ora Ucraina). Questo va tenuto bene in mente altrimenti siamo al gioco delle tre carte.

    L’Italia è nata grazie alle idee forti di pochi visionari che hanno consacrato la loro vita alla causa e grazie a molti eroi che per la causa hanno dato la vita.

    Chissà cosa penserebbero oggi di questo Paese irriconoscente?

    I ‘riformisti’ di casa nostra giocano con la lingua italiana. Una lingua bellissima e completa che consente di esprimere lo stesso concetto in modi diversi.

    Alcuni più anodini che concorrono a confondere gli obiettivi finali, e ci fanno addirittura sembrare bella una cosa che non lo è.

    Bisogna scegliere la chiarezza. Le cose vanno chiamate con il loro nome.

    Usare le parole “autonomia differenziata” suona quasi come una cosa bella.

    La verità è che qui si vuole regionalizzare la scuola italiana. Avremo venti scuole, una diversa dall’altra, con tutte le criticità che denunciamo da tempo.
    Una differenziazione della quale non si sente proprio il bisogno.

    La domanda che dobbiamo porci è: a chi conviene la regionalizzazione?

    I proponenti vanno dichiarando che ci guadagnerebbero di più sia il centro che il sud. Quindi noi poveri mortali non abbiamo capito nulla. C’è un partito nordista che propone una riforma di tipo regionalista che avvantaggerebbe il centro sud.

    Siamo proprio degli sprovveduti.

    Detto questo, una domanda sorge spontanea: visto che ci dovrebbero guadagnare i comuni centromeridionali e, considerato che le risorse sono sempre le stesse, possiamo dedurne che il nord ci rimette. Dov’è il trucco? Siamo tornati al gioco delle tre carte.

    Per una affermazione del genere ci vuole sicuramente coraggio, per non dire faccia tosta, e una platea benevola disposta ad ingoiare qualsiasi cosa gli venga propinato.

    In un Paese di terrapiattisti e no/tutto ritengo che l’impresa non sia impossibile.

    Bisogna uscire dall’inganno della contrapposizione Nord-Sud. La questione centrale è legata al concetto stesso di scuola, di accesso e di opportunità, di programmi, di personale scolastico, di mobilità e stipendi.

    In un momento storico come l’attuale dove gli egoismi dominano sulla solidarietà, dove i campanili, le province, le regioni prevalgono sul concetto di Paese, mi piace ricordare il bellissimo libro di Viola Ardone, “Il treno dei bambini”, che ci racconta una storia, quella di molti bambini poveri di Napoli che vennero ospitati per lunghi periodi da famiglie emiliane. Questo consentì loro, oltre che di mangiare e vestire dignitosamente, di studiare e di dare una svolta alle loro vite.

    Una riflessione finale.

    A me sembra un ossimoro il fatto che un governo dichiaratamente nazionalista, che si ostina a chiamare il Paese, “Nazione”, almeno nella sua componente maggioritaria, voglia avviare un percorso di destrutturazione della stessa nazione che tanto osanna, e che nel tempo potrà produrre effetti ad ora incalcolabili e mettere in discussione l’attuale forma unitaria del Paese.

    Non saremo spettatori. La scuola italiana è quella nazionale, statale, luogo di inclusione e di costituzione dell’uguaglianza sociale.

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