PAROLE / La bellezza del linguaggio è quasi sempre possibile
“Parlare in modo complicato, utilizzare parole difficili sta a segnalare che si fa parte dei privilegiati, si viene invitati ai convegni, coperti di onori. Ma bisogna chiedersi se tutti quei discorsi hanno un contenuto, se non si riesce a dire la stessa cosa con parole semplici. E’ quasi sempre possibile.”
(Noam Chomsky).
«Ci vogliono due anni per imparare a parlare e cinquanta per imparare a tacere» diceva Ernest Hemingway. Arte o ingegno, credenza o suggestione, potere evocativo nella poesia o di persuasione delle masse, fonte di relazione con noi stessi, con gli altri e con l’ambiente che ci circonda, la parola è forse il mezzo più potente dell’essere umano.
La capacità di saper parlare nei momenti opportuni della vita, in alcuni casi, si è rivelata fondamentale.
Lo sa bene Chichibìo, che nella celebre novella di Boccaccio, utilizza la parola al momento giusto, a mo’ di battuta, per togliersi dai guai.
La parola è atto di ribellione per Ghismunda, quando sempre nel Decameron, risponde al padre per difendere un diritto preziosissimo quale l’amore. Infine, è abilità, quando ancora nel Decameron, Frate Cipolla e Ser Ciappelletto riescono a stravolgere la situazione a proprio vantaggio facendo credere ai loro ascoltatori cose false.
Ma c’è di più. Recenti studi sulle neuroscienze e in ambito psichiatrico hanno dimostrato il potere della parola in grado di generare diverse reazioni nel nostro cervello che sono oggi quantificabili: un sì o un no inciderebbero a favore o a sfavore dell’ormone del benessere.
L’utilizzo di parole positive o negative ci cambia profondamente.
Secondo questi studi le parole sono in grado di determinare le nostre vite e quelle degli altri, instaurare o distruggere i rapporti interpersonali. Bisogna quindi utilizzare le parole sempre nel modo giusto consapevoli di come queste possono cambiare la direzione della nostra vita e quella degli altri.
La parola comunica il pensiero, il tono, le emozioni, diceva Ezra Pound.
La parola non è quindi un atto solo meccanico. Lo sa perfettamente l’insegnante, che ogni giorno ha il difficile compito della comunicazione ‘totale’. Quando parla agli studenti sta attento non solo a cosa dice, ma anche al come lo dice, curando la forma, la costruzione della parola, l’intonazione, la mimica facciale, i gesti, la distanza fisica, a seconda se ha di fronte bambini o adolescenti, tenendo quindi ben presente il contesto comunicativo in cui si trova.
Quest’ultimo è di fondamentale importanza per calibrare il nostro linguaggio, a seconda se ci troviamo in un contesto formale o professionale (congressi, conferenze, ecc.) o familiare (interlocutori con cui si è in rapporti confidenziali). E da tutto questo non è esente neanche il sindacalista, che prima di affrontare qualsiasi pubblico, che sia quello di una piccola assemblea di scuola, di un congresso o di un convegno, deve “capire” il contesto in cui si trova per calibrare le parole. Ma proprio per quest’ultimo potrebbe tornare sempre utile il suggerimento di uno dei linguisti più importanti al mondo:
“Parlare in modo complicato, utilizzare parole difficili sta a segnalare che si fa parte dei privilegiati, si viene invitati ai convegni, coperti di onori. Ma bisogna chiedersi se tutti quei discorsi hanno un contenuto, se non si riesce a dire la stessa cosa con parole semplici. E’ quasi sempre possibile.”
(Noam Chomsky).