Le classificazioni sono recinti, meglio le condivisioni
Dalla Generazione dei baby boomers alla Generazione Z
Come a scuola è fondamentale che i docenti conoscano l’età dei loro alunni, le inclinazioni, i condizionamenti e le piccole o grandi aspirazioni, così i sociologi ritengono di fondamentale importanza per i loro studi, distinguere la Generazione dei Baby Boomers: data di nascita 1946-1964, da quella dei Millennials: 1980-2000, da quella ancora cosiddetta Generazione Z: nati dopo il 2000*.
Nel suo libro “Senza età”, lo psicologo Diego Martone, scrittore, professore presso la facoltà di Psicologia di Trieste, parla di queste tre generazioni diverse che coesistono e insieme creano valore. Ritiene che queste tre generazioni non possano avere una classificazione univoca, basata su considerazioni fatte dagli studiosi.
Un errore che si commette nella discussione sulle generazioni è che si cerca di etichettare le persone in base alle loro caratteristiche di nascita, ignorando le grandi differenze tra gli individui. I giovani sono molto sensibili a questo problema: a loro non piace essere etichettati come ‘tipici’, nè della Generazione Zeta, nè dei Millennial.
Ciò non toglie che la Generazione Z, rispetto ai Millennials, sia più flessibile e pronta a modificare il proprio assetto in modo rapido e senza percepire i cambi come una sconfitta. Il loro progetto di vita non è statico, ma plastico, il che permette loro di considerare le generazioni precedenti, se non proprio con occhio benevolo almeno con ‘considerazione’, preoccupati più di affrontare quello che verrà, che non quello che è stato.
Sono antistorici? No, sono più propensi all’adattamento che non allo scontro generazionale, perché non accettano gli stereotipi. Con loro è possibile un “patto intergenerazionale”, contando sul fatto che le “classificazioni” le considerano una sorta di recinto, che di per sé favoriscono le contrapposizioni piuttosto che le condivisioni.
Lo scontro fra generazioni è antico quanto il mondo e la soluzione, con modalità diverse, è sempre quello di costruire, mattone su mattone, la comunicazione.
Se non si conoscono gli altri né i loro bisogni, vengono meno infatti anche la solidarietà e la sinergia tra le generazioni. La distanza generazionale si concentra nella costruzione di un dialogo strutturato e condiviso. È importante che si venga a creare un buon canale comunicativo tra le generazioni, in modo da poter superare insieme le difficoltà.
I giovani possono così cogliere quello che l’adulto può offrire in termini di esperienza e saggezza. L’adulto può accogliere le qualità e le idee dei giovani senza rifiutarle a priori.
In entrambi i casi vi è la necessità di uno sforzo da mettere in atto. Le modalità possono essere le più svariate: promuovere incontri nel mondo scuola, in contesti istituzionali o sociali; oppure ancora nei luoghi di lavoro. Questo per promuovere un benessere comune e una modalità comunicativa che dia spazio al confronto costruttivo.
Ciò che crea collante tra generazioni è una conversazione tra le generazioni stesse, che sia in grado di andare oltre i pregiudizi e abbia una visione più a lungo termine. Ciò accade ancora nelle famiglie, che per ragioni diverse, costruiscono legami affettivi e di rispetto verso gli anziani, ma il clima sta diventando più teso in altri settori, ad esempio nella cultura e nella politica.
Gli stessi problemi economici e sociali vengano travisati e fraintesi come problemi generazionali, il che sfugge a una discussione più approfondita delle loro cause e soluzioni, e potrebbe essere distruttivo della solidarietà intergenerazionale.
Ci troviamo in una situazione assai difficile, con la pandemia che ha accelerato molti dei problemi economici e delle divisioni sociali che abbiamo visto in precedenza. E in questa situazione, le affermazioni allarmistiche sul conflitto generazionale potrebbero essere estremamente dannose, se non riportate alla corretta interpretazione di rispetto delle differenze esistenti tra gli individui, con la volontà di esaltarne i vissuti e le competenze.
*La prima è la generazione che ha consegnato alla generazione “Z” il mondo come lo conosciamo: la generazione ‘on the road’, quella delle rivoluzioni culturali, del pacifismo e del femminismo, dei grandi raduni e del rock. Allo stesso tempo impegnata fortemente nel lavoro e nella carriera, senza farsi mancare anche l’impegno politico e civile.
La seconda, quella dei Millennials o Generazione Y, persone divenute maggiorenni nel corso del 2000. È definita anche “Generazione Me” perché si ritiene composta da persone che hanno più fiducia in sé stessi rispetto alle generazioni precedenti.
Hanno maggiore familiarità con tutta la comunicazione digitale e una proiezione che non si espande verso l’esterno, ma piuttosto verso sé stessi in un soliloquio con i devices moderni e altamente tecnologizzati, fautori dell’economia della condivisione, o sharing economy. Dalla condivisione delle case, alle automobili, fino agli oggetti ed esperienze. Hanno lasciato alla “Generazione Z” l’onere di fare cambiamenti epocali.
Questi ultimi fanno della tecnologia, della comunicazione, del web elementi sostanziali del loro modo di vivere: non ne possono fare a meno. La tecnologia è nata con loro e vive con loro quotidianamente.
Avendo vissuto indirettamente la crisi socioeconomica del 2009 sono cresciuti con una maggior disponibilità al cambiamento e alla flessibilità. E con una consapevolezza più forte rispetto alla necessità di sapersi adattare e reinventare più volte nella vita, anche dal punto di vista professionale.