La scuola che si fa a scuola è sempre meglio della scuola che si racconta. Questo perché i racconti sono sempre soggettivi e perché ognuno sente la sua scuola come un’esperienza unica, irripetibile. E, in effetti, è così.
Non entreremo qui nel racconto che la politica, la cronaca, le istituzioni fanno del pianeta scuola perché ciò che ci interessa è dare forma al lavoro che si fa in classe, alla volontà tenace, all’orgoglio professionale che i nostri insegnanti provano quando sono con i loro studenti.
Impegno che si traduce nella volontà di essere intellettualmente onesti, professionalmente preparati, giusti nei giudizi, attenti alle esigenze di tutti, anche - e forse soprattutto – alla seconda fila.
L’ultimo rapporto Ocse Talis ci consegna una bella fotografia del nostro corpo docente: capace, motivato, che racconta di essere stanco della burocrazia ma fiero della propria autonomia nell’insegnamento, che dice di essere pagato poco per quello che fa ma conosce il peso sociale del lavoro che svolge, che afferma che nella propria scuola gli insegnanti sono apprezzati dagli studenti e che possono contare l’uno sull’altro (nell’86% dei casi, la media Ocse è del 71%) ma lamenta di non poter incidere sui processi decisionali delle politiche scolastiche, anche di istituto.
L’appuntamento di Didacta guarda alla loro curiosità, alla voglia di apprendere, di innovare e persino di stupirsi. Insegnare non è un verbo statico. “Il rigore, la dedizione, l’entusiasmo e anche la gioia che possono contraddistinguere l’esperienza della trasmissione del sapere sono i veri effetti educativi provocati dall’istruzione”, scrive Recalcati nel suo ultimo libro, La luce e l’onda; “La Scuola dovrebbe portare con sé il desiderio di apertura e di moltiplicazione delle lingue che la rende antagonista a ogni irreggimentazione ideologica. È questo il punto di massima convergenza tra istruzione e educazione”.
Francesca Ricci, Segretaria Nazionale Uil Scuola Rua